Pessimismo della ragione? C'è l'ottimismo della scienza

[ Fri. Mar. 19. 2010 ]

L'immagine di copertina di "153 ragioni per essere ottimisti

La buona notizia: ci sono 153 buone ragioni scientifiche per essere ottimisti. La cattiva: in qualche caso, perché l’ottimismo si traduca in fatti concreti, bisognerà aspettare secoli. E adesso la storia.

John Brockman è un agente letterario. Nella sua agenda non trovi romanzieri ma scienziati. Alcuni hanno già sul petto la medaglia del premio Nobel, altri studiano per conquistarla. Tutti hanno una gran voglia di comunicare tra sé e con il mondo. Brockman li ha riuniti in una specie di club virtuale che ha chiamato Edge, con sede in Internet (www.edge.org). Edge significa orlo, bordo. Ma il verbo imparentato con questa parola si traduce anche in «aguzzare». Gli scienziati del gruppo Edge stanno sul bordo, sulla frontiera tra ciò che si sa e ciò che si vorrebbe sapere, tra presente e futuro, forse tra genio e follia. E aguzzano l’ingegno per passare il confine senza passaporto. Così Edge è uno spazio aperto, dove gli scienziati del club mettono in gioco idee audaci abbassando il loro livello di inibizione, come richiede il pensiero creativo.

Brockman ha il senso dell’auditel. Dopo essersi inventato la «terza cultura», che incorpora i valori umanistici della scienza, una volta all’anno agli iscritti del club pone una domanda alla quale tutti sono invitati a rispondere nel sito Internet. Gioco astuto: in pochi giorni l’agente letterario Brockman ha tra le mani un libro. L’ultimo, appena uscito in Italia, è appunto intitolato153 ragioni per essere ottimisti, sottotitolo Le scommesse della grande ricerca (il Saggiatore, 430 pagine, 21 euro). Il tema era: «La scienza ci pone sempre nuove domande, domande più mirate e meglio articolate. Su che cosa sei ottimista e perché? Sorprendici».

Per conoscere il futuro – diceva Einstein – il modo migliore è inventarlo. Un’altra sua battuta era: «Non penso mai al futuro: arriva così presto!». I ragazzi del club invece ci hanno pensato. Non tutto è pensiero originale. Molti scienziati sono ossessionati dall’effetto serra con il conseguente rischio del riscaldamento globale, ma sono ottimisti perché vedono nel mondo una presa di coscienza del problema. Un aspetto fondamentale della questione riguarda l’energia: le fonti fossili emettono gas serra e prima o poi si esauriranno. Un gruppetto del club vede la soluzione nell’energia solare. Chi lo dice meglio è Alun Anderson, già caporedattore di New Scientist: «Il Sole fornisce 7000 volte più energia di quanta ne stiamo utilizzando».

Altri filoni di pensiero non troppo divergente riguardano la fiducia nei progressi che allungano e migliorano la vita, vedono il Santo Graal nei modelli cooperativi tipo Wiki che si affermano sempre più nella Rete, puntano sulla resurrezione dell’Intelligenza Artificiale. Leon Lederman, premio Nobel per la fisica, si dichiara «ottimista sull’istruzione scientifica», ma subito aggiunge: «Lo so, meriterei una visita psicologica, o di fare da cavia per le mie fantasie deliranti». Un altro Nobel, George Smoot, cosmologo, pur ammettendo che tra miliardi di anni l’universo morirà di entropia, porta come prova di ottimismo il fatto di investire molto nel proprio fondo pensioni. Paul Davies, astrofisico e divulgatore straordinario, si limita a prevedere una colonia su Marte «entro la fine del secolo».

L’ottimismo più interessante è quello dei biologi che vedono nello studio dell’epigenoma (cioè l’influsso dell’ambiente sull’attivazione dei nostri geni) il nuovo grande passo dopo la decifrazione del Dna. Ancora più intrigante è l’ottimismo di certi psicologi che si occupano dell’aggressività e dell’irrazionalità umane. Tutti vedono, a sorpresa, un futuro tendenzialmente pacifico, non violento. È il caso di Steven Pinker e di Marc Hauser (entrambi della Harvard University). Più precisamente, Hauser è ottimista sulla fine degli «ismi» che ancora dilaniano il mondo: fondamentalismo religioso, razzismo, sessismo, ma anche ateismo. Li ha generati, dice, «una unica causa: un cervello che ha sviluppato la capacità inconscia di cercare le differenze tra il sé e l’altro e, una volta riconosciute, di svalutare l’altro per scopi egoistici», ma «la scienza sta scoprendo i meccanismi di questa capacità distruttiva e potrebbe avere la chiave per trovare una soluzione».

A fine Ottocento l’euforia positivista faceva credere che la scienza avrebbe risolto ogni problema dell’umanità e i fisici erano convinti che la loro disciplina avesse scoperto tutto. Poco dopo sono nate la meccanica dei quanti e la relatività di Einstein. Nel libro curato da Brockman si respira invece la crisi della fisica attuale, stretta tra la teoria delle stringhe che è andata troppo avanti rispetto agli esperimenti, e laboratori kolossal che stentano a partorire risultati proporzionalmente rivoluzionari. Biologia a parte, i 153 ottimisti non sanno indicare nuovi paradigmi capaci di sostituire quelli che oggi appaiono logori.

Colpo di scena finale: il libro esce adesso, ma la domanda fu posta nel 2007, prima della crisi economica globale. Nel 2010 gli amici di Brockman saranno altrettanto ottimisti? Se si sono pentiti, potranno consolarsi con la battuta del Nobel Niels Bohr: «Fare previsioni è sempre difficile, ma specialmente sul futuro»

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