La Scienza sperimenta l'ottimismo

[ Wed. Mar. 10. 2010 ]

Chi l’ha detto che gli scienziati sono catastrofisti? Al massimo saranno tali quelli dell’Ipcc, l’ente delle Nazioni Unite incaricato di studiare i cambiamenti climatici. O qualche virologo dell’Organizzazione mondiale della sanità, troppo lesto nell’annunciare pandemie. Ma sono eccezioni. In linea di massima gli scienziati sono inguaribili ottimisti, lo sguardo rivolto al futuro, certi in cuore di avere le idee giuste per mettere a posto due o tre cosette che non vanno o che ancora non si conoscono.

Il Saggiatore porta in libreria in questi giorni 153 ragioni per essere ottimisti (pagg. 424, euro 21) a cura di John Brockman. Un gruppo di scienziati risponde alla stessa domanda: «Cosa ti rende ottimista?». Fra loro vi sono molti personaggi notissimi, ad esempio Jared Diamond, Richard Dawkins, Lisa Randall, Ray Kurzweil, Gino Segré, Brian Eno, Daniel C. Dennett, Lawrence M. Krauss. Ecco quindi un menu alla carta con ricette per risolvere i problemi energetici, democratizzare l’economia globale, aumentare la trasparenza governativa, debellare le dispute religiose, ridurre la fame nel mondo, potenziare la nostra intelligenza, sconfiggere la malattia, progredire nella morale, migliorare il concetto di amicizia, trascendere le nostre radici darwiniane, capire la legge fondamentale dell’universo, unificare tutti i saperi, abbattere il terrorismo, colonizzare Marte.

Certo, ci sono alcune discrepanze. Ad esempio Richard Dawkins è ottimista perché da qualche laboratorio salterà fuori la legge del tutto, la teoria finale, capace di spiegare ogni fenomeno fisico. Franck Wilzeck è invece ottimista per il motivo opposto: grazie a Dio nessuno sembra in grado di approdare al risultato auspicato da Dawkins, e il mondo continuerà a sorprenderci ancora a lungo. C’è chi è ottimista perché finalmente la religione sarà bollata come pura e semplice superstizione. E c’è chi rovescia la frittata e si dice ottimista perché finalmente la scienza riconoscerà che la religione non può essere bollata come pura e semplice superstizione. Insomma, è garantita una varietà d’opinioni bipartisan.

Tra i problemi più dibattuti, c’è quello della pace. Affrontato da tutti i punti di vista. Per gli antropologi, ad esempio, è un dato di fatto statistico: andiamo verso la fine della guerra. Sul XX secolo grava il sangue di cento milioni di vittime (calcolo di Lawrence Keeley in War Before Civilization). Una cifra spaventosa. Eppure sarebbero state due miliardi se i nostri tassi di violenza fossero pari a quelli di una società primitiva media, in cui il tasso di mortalità causato dalla violenza raggiungeva il cinquanta per cento. Per i neuroscienziati, è anche un problema di cervello e ormoni sessuali. Roger Bingham, ad esempio, è ottimista perché un numero maggiore di donne rispetto al passato siede al tavolo delle trattative sul controllo degli armamenti. Le pari opportunità non c’entrano. Il punto è che la sicurezza globale, in un’atmosfera carica di testosterone, risulterebbe meno garantita. Per i biologi, pur essendo gli uomini «programmati» per distinguere fra Noi e Loro (cioè fra buoni e cattivi), le categorie sono destinate a diventare sfumate grazie all’evoluzione.

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